
ViniVeri, ritratti d’autore “secondo natura”
Finalmente quest’anno ci sono riuscita. Sono tornata in patria per assistere al salone ViniVeri alla sua 12º edizione. Era il frammento che mi mancava per conoscere questi magnifici vignaioli naturali per i quali ho avuto il piacere di curare un viaggio in Spagna, da anni mio paese di residenza, alla scoperta di alcuni tra i produttori spagnoli di vini “naturali”. Così, al contrario di molti altri appassionati di vino, ho fatto il percorso al contrario: ho conosciuto appunto prima i vignaioli e poi i loro vini, prima gli artisti e solo dopo i propri ritratti liquidi.
Osservatrice privilegiata al salone di Cerea di quest’anno, sia da dietro che davanti le quinte, l’esperienza è stata indimenticabile e ora mi trovo a riunire i vari pezzi di un puzzle fatto di foto, etichette, frasi, momenti, ma soprattutto umori, aromi e sapori di questo grande evento della enologia internazionale.
Oltre 120 vignaioli provenienti da Italia, Francia, Austria, Slovenia, Spagna e Georgia si sono riuniti per tre giorni nello splendido quadro di un antica fabbrica di mobili, un magnifico pezzo di architettura industriale modernamente convertito a spazio espositivo, per presentare i propri vini elaborati “secondo natura” cioè solo con processi spontanei e ricorrendo a pochissimi grammi di solfiti o addirittura senza, nel rispetto dell’ambiente e della biodiversità, naturale e sostenibile.
Difficile definire con un aggettivo questi vini. Il Consorzio Viniveri avrebbe voluto chiamarli vini “naturali”, ma la legge non lo permette, ritenendo che tutti i vini lo siano, anche quelli prodotti utilizzando le oltre 200 sostanze chimiche di sintesi ammesse per legge e di cui non restano tracce o informazioni nella etichetta. E la questione dell’etichetta è stato il cavallo di battaglia di Giampiero Bea, amico e Presidente del Consorzio. La sconcertante realtà è che il vino è l’unico alimento per cui la legge non preveda l’obbligo di scrivere in etichetta gli ingredienti, le sostanze, usate nella elaborazione. E Giampiero Bea con il suo paziente lavoro di tessitura diplomatica è riuscito a riunire a ViniVeri autorità e rappresentanti di diverse posizioni, dando seguito al dialogo tra le parti nel tentativo di sciogliere il nodo della questione.
Ma attenzione, non stiamo parlando di una fiera di vigneron “alternativi”, di estremisti dell’enologia, talebani del vino che portano avanti ad oltranza una posizione di non intervento nella elaborazione del vino anche a discapito del prodotto.
L’altro asse fondamentale per entrare a far parte del Consorzio Viniveri è che i vini siano eccellenti, devono passare la prova dell’assaggio. Lo scorso anno, su 64 richieste di adesione, solo 4 sono state accettate. Ed il risultato è straordinario.
Ed infatti i vini presenti al salone di Cerea sono vere chicche dell’enologia, spesso anche difficili da reperire sul mercato perché alla loro uscita spariscono in un batter d’occhio. Così è accaduto all’enoteca del salone dove le 12 bottiglie di Barolo messe a disposizione da Beppe Rinaldi, sono sparite in meno di 5 minuti. E parlandone con lui risponde, con il suo inimitabile stile, “ma che esagerati, si tratta solo di vino”.
Moltissime altre le squisitezze enologiche, tutte oserei dire, perché questi vini riflettono tutti con esatta simmetria sia il territorio che la personalità del vignaiolo che li produce ed i vignaioli di Viniveri di personalità ne hanno da vendere.
Ogni vino è un’opera d’arte e come in una galleria d’arte mi attardo in ogni stand a degustare questi vini come fossero vari quadri di uno stesso pittore, ciascuno con un’impronta riconoscibile ma declinazioni diverse. Il piacere sta nell’indugiare nell’assaggio: bisogna prima ascoltarli, osservarli con attenzione, avvicinandosi gradualmente per apprezzarli dalle varie prospettive, senza scuoterli o manometterli, come suggerisce Sandro Sangiorgi durante la presentazione della verticale della Cuvée Juliette, presente Jean-Pierre Robinot.
E Jean-Pierre Robinot è una delle star del salone, in realtà senza esserlo mai, sempre pronto a scherzare e senza prendersi mai troppo su serio, effervescente e creativo vigneron senza tempo. Degustiamo 8 vini straordinari di annate differenti a partire dal 2002, vini unici e quindi irripetibili, ognuno dotato di carattere proprio, espressione dell’annata e del suo autore, che dice essere interessato nel vino a tutto ciò che è creatività, genio e fantasia.
Viniveri è anche ritrovare l’amica Laura Semeria, conosciuta qualche anno fa durante una ricognizione nella Loira. Laura, vigneron italiana trasferitasi anni fa nella Loira appunto, produce proprio lì alcuni magnifici vini tra cui il Cour-Chevergny 2001, romorantin (un raro vitigno autoctono) in purezza, un vino dalla enorme mineralità, teso ed elegante. Con Laura, nel bel mezzo della cena di inaugurazione decidiamo di organizzare ed immortalare la presentazione formale tra Jean Pierre Robinot e Giuseppe Rinaldi, la “pensée dadaiste” della Loira e il jazzista del Barolo.
E se parliamo di Rinaldi, non posso non parlare di Teobaldo Rivella. Coppia impossibile legata dalla stessa uva, la nebbiolo, su due territori vicini ma diversi, Beppe Rinaldi l’artista e Baldo Rivella il gentleman, lo scienziato. Ed infatti il Barbaresco Montestefano di Rivella è elegante e raffinato, apparentemente delicato, in realtà tagliente, dritto e potente come una corda d’acciaio, come solo sa essere la uva nebbiolo, in due annate diverse la 2011 e la 2010 che saranno ancora più grandi per chi avrà la pazienza di aspettare.
Straordinaria è anche la squadra friulana, tra carso e Collio, capitanata dal Vicepresidente del Consorzio Viniveri, Paolo Vodopivec, famoso per la raffinatezza dei suoi vini in anfora, soprattutto per la sua vitovska. Seguono in un ordine puramente sparso altri grandissimi vignaioli friulani ed altrettanti indimenticabili vini. Enormi i vini di Dario Princic tra cui la sua famosissima ribolla gialla che nelle sue mani diventa specialmente espressiva, estroversa, aperta e goliardica come lui.
E poi i bianchi di Nico Bensa de La Castellada, tra cui non solo spiccano la ribolla gialla, il friulano e pinot grigio in purezza, ma anche il coupage di bianchi. In questo gruppo inserisco anche i vini sloveni di Valter e Klemen Mlecnik perché i loro vigneti si trovano a una manciata di chilometri da una frontiera puramente politica che separa terra e tradizioni comuni per tanti secoli. Sempre in Friuli troviamo i vini di Stefano Novello, Ronco Severo; tra questi il suo friulano era tra i vini selezionati nella degustazione alla cieca “Il tratto italico in bianco” condotta da Jacopo Cossater nella ricerca di una relazione tra vino e territorio italico.
E sempre in questa degustazione scopriamo altri vini coinvolgenti, come il Gaia 2012, Campania Fiano IGP di Cantina Giardino o la Malvasia di Bosa, espressione della Sardegna in bottiglia, di Giovanni Battista Columbo che alla cieca mi aveva quasi fatto pensare ad un Oloroso di Jerez. C’erano anche l’Ansonaco del Giglio di Vigneto Altura, un gioiello enologico di questa meravigliosa isola, prodotto da vigneti affacciati sul mare, un vino unico, differente proprio come il suo produttore. E poi il Passito di Pantelleria 2007 di Ferrandes ed il Bianco di Toscana di Massa Vecchia in Maremma, che mi fanno subito ricordare il gioco di sfida intavolato dai due produttori durante la cena di chiusura in pizzeria su come sia o non sia possibile riconoscere dai tratti somatici di una persona il suo segno zodiacale: Sicilia e Toscana, due vini, due latitudini, due modi di essere diversamente affascinanti.
E trovandoci in Toscana, impossibile non far notare una notevolissima coppia, quella di Sauro Burzagli e Romina Erbosi di Podere Luisa, che con passione e fermezza stanno producendo nel Chianti, dei veri vini del Chianti, come si facevano una volta, prima che la fama e la speculazione trasformassero la terra di Toscana.
Sorpresa e rivelazione sono stati anche i Prosecco “naturali”, quelli elegantissimi di Casa Coste Piane e quelli esplosivi di Carolina Gatti, che grazie ai lieviti tenuti in bottiglia assumono complessità e profumi assenti nelle versioni convenzionali.
Simpatico l’equivoco con Bertrand Gautherot, Vouette et Sorbée, AOC Champagne, con il cui gruppo ho casualmente condiviso il tavolo a colazione ed involontariamente ascoltato le conversazioni senza sapere chi fosse. Bertrand che quando ha scoperto casualmente che parlavo francese, a cena è venuto al mio tavolo lasciandomi la bottiglia del suo elegante e minerale Extra Brut Cuvée Blanc D’Argille.
È doveroso parlare anche dei carissimi amici e conterranei spagnoli, presenti per il secondo anno a ViniVeri dopo anni di faticose e altalenanti conversazioni.
L’amico Samuel Cano, di Vinos Patio, i cui rossi sono suoi cloni: potenti, effervescenti, esuberanti, fruttati raccontano l’autentica Manchuela, mentre il suo Aire nel 2008 è stato il primo bianco con macerazione sulle bucce mai assaggiato prima e che mi ha fatto innamorare subito di questi vini così speciali. Grazie Samuel! Da Ronda viene invece Federico Schatz, un gran maestro della biodinamica e un vero signore. Impiega vari uvaggi tra cui la lemberger e la muskattrollinger che rivelano se ce ne fosse bisogno, le sue origini germaniche. E quando ne parli con lui ti fa osservare i limiti del concetto di “autoctono” domandandoti quanti anni devono passare affinché un uvaggio debba essere considerato tale. I suoi magnetici vini con le cui etichette compone le iniziali del suo cognome che sono proprio come lui una misteriosa combinazione di tratti tedeschi e spagnoli.
Non meno affascinanti i vini di Jose Miguel Marquez, Presidente della PVN- Asociacion de Productores de Vino Natural de España, che a Montilla Moriles ha dovuto trasformarsi in Don Quijote per difendere i valori e il sapere tramandatigli da suo padre. Chiudiamo la carrellata spagnola con i vini di Loxarel, una vera scoperta con i suoi bianchi in anfora e soprattutto con le loro bollicine che non possono chiamare Cava, ma Classic Penedes. Straordinario il 109 Brut Nature Reserva 2004, che alla cieca scambierei per un gran Champagne.
Chiudo in bellezza questa breve panoramica con i vini del mitico Giampiero Bea, i famosi Arboreus di trebbiano spoletino, Pipparello, il Rosso di Montefalco Riserva, il mitico Pagliaro, Sangrantino di Montefalco, e tutti gli altri grandissimi suoi vini che in realtà dovrei aver presentato per primi, dato che il mio incontro con Viniveri è nato dalla visita casuale anni fa alla sua cantina di Montefalco. Sono vini che mi fanno tornare a casa nella mia terra natale e quindi difficili da descrivere per me lontana dall’Umbria da oramai tantissimi anni, mi fanno venire subito nostalgia. L’amico Giampiero Bea che ringrazio per l’invito al salone ma soprattutto per avermi fatto entrare nel mondo dei vini naturali, un viaggio di sola andata, perché dopo aver provato questi vini il ritorno è molto improbabile.
E la ciliegina sulla torta. I caffe biologici e artigianali di Perfero Caffe, con due miscele differenti e profumatissime, la seconda a base di arabica che ha riposato durante due mesi in botti di rovere. La macchina da espresso della simpatica coppia di amici ha lavorato a tutta birra durante tutta la durata del salone, riesumandoci dagli eccessi dell’alcol e delle poche ore di sonno. Il loro è un caffe che risveglia i sensi, che rimane impresso nella mente per i suoi profumi, un caffè da manuale, con una schiuma nocciola fine, leggera e consistente. Non so cosa darei per averne uno così tutti i giorni al mio risveglio.